Tra mito e sacro. Opere dalle collezioni capitoline di arte contemporanea

L’esposizione, in occasione delle celebrazioni per l’Anno giubilare, offre uno sguardo sulla dimensione del “sacro” e della sacralità nell’arte contemporanea, attraverso i suoi poliedrici linguaggi.
Caratterizzata da un allestimento immersivo e coinvolgente, l’esposizione si pone l’obiettivo di indagare come l’arte contemporanea esprime il rapporto dell’uomo con la dimensione del sacro, della spiritualità e del mito, attraverso un’accurata selezione di circa trenta opere del XX e XXI secolo provenienti dalle collezioni capitoline, alcune esposte solo in rare occasioni.
Dipinti, sculture, fotografie e grandi installazioni: lavori eterogenei caratterizzati da linguaggi artistici variegati e originali, ma tutti accomunati da assonanze formali e poetiche che traggono ispirazione da un bagaglio di valori spirituali universalmente condivisi come la nascita, il dolore, l’espiazione, la sublimazione, la morte, la resurrezione. Una corrispondenza che pone queste opere in continuità con la tradizione storico-artistica precedente, nonostante il rapporto tra gli artisti contemporanei e la religione si risolva spesso in una dimensione più filosofica e intellettualizzata rispetto al passato.
Si può ammirare la grande installazione di Alessandra Tesi, Cattedrale, che torna “visitabile” dopo dieci anni, una soglia simbolica, realizzata con 750mila perle montate su 650 fili pendenti dal soffitto, per immergersi nella sacralità di un vero e proprio spazio liturgico; il sublime volto angelicato del Trascendente di Carlo Maria Mariani, tempestato di ardenti fiammelle e lo scheletro in preghiera di Marc Quinn, opera a grandezza naturale di grande impatto visivo ed emotivo, ironico emblema della caducità della vita umana.
In mostra anche Stendardo Antico, vessillo familiare di fine XVIII secolo decostruito, ritagliato e ricucito, opera di Sidival Fila, frate minore francescano, artista e Presidente dell’omonima Fondazione filantropica, la cui produzione artistica si caratterizza per il recupero e il riscatto di materiali in disuso.
IL PERCORSO ESPOSITIVO
Le cinque sezioni tematiche seguono un percorso concettuale ed estetico che abbraccia tutti i segni del sacro, dal mito classico all’iconografia della tradizione cristiana, dalla ritualità alle figure mistiche, trascendentali e divine.
La prima, Dal mito al sacro, trae ispirazione dai miti classici e ne richiama i profondi significati metaforici. L’imponente trittico Orestiade di Paola Gandolfi (1998-99), celebrazione di uno dei momenti più alti della drammaturgia greca, è uno spazio pittorico irreale e visionario in cui sono sospesi i frammenti dei corpi di Oreste, Elettra e Clitennestra, dove centrale è l’indagine della psiche femminile. Tutta l’ambivalente sensualità di Venere si esprime nell’opera Goldfinger Miss di Mario Ceroli (1964), il cui titolo è mutuato da un episodio della serie cinematografica James Bond Agente 007. La silhouette della dea botticelliana, riprodotta serialmente su sette sagome di legno dorato e ridotta a puro contorno stereotipato, aggiunge una riflessione sui miti nella società contemporanea dominata dai mezzi di comunicazione di massa.
Al piano superiore, l’esposizione prosegue con il metafisico Orfeo (1973) di Giorgio de Chirico, meraviglioso cantore ispirato alle verità misteriche della dimensione divina, parte della collezione permanente del museo; con l’enigmatico dipinto Verso il tempio di Salvatore Pulvirenti (1999), ricerca introspettiva che si materializza in una sovrapposizione di differenti, indecifrabili piani di realtà e con L’angelo sotterraneo di Stefano Di Stasio, realizzato in occasione del Giubileo del 2000, che si staglia azzurro e alato nel buio di un edificio e che ricorda a sua volta l’ambientazione di un tempio.
La seconda sezione, Culto e ciclo della vita è caratterizzata da due grandi installazioni: la prima è il trittico Universal Keyboard di Alessandro Valeri (2016), tre moduli quadrati che richiamano la circolarità e continuità dell’esistenza nei quali si alternano scritte al neon con le parole chiave life (“vita”), milk (“latte”), dead (“morte”) e Revo (“Rivoluzione”). L’altra è la monumentale Cattedrale di Alessandra Tesi (2002), ricompresa nella White Room, uno spazio allestitivo totalmente dedicato: 750mila perle di vetro opalescente montate su 650 fili, una soglia vibrante che immerge nella sacralità di un vero e proprio spazio liturgico. Su questo eccezionale schermo, infatti, è riprodotto in loop un video girato nella cattedrale di Notre Dame a Parigi – prima del disastroso incendio del 2019 – che, indugiando in particolare su alcuni dettagli, trasporta il visitatore in una dimensione fantastica. Nell’ambientazione di un luogo di culto ci proietta anche Our first port of call di Simon Roberts (2016), disorientante rielaborazione fotografica di cartoline e istantanee che ritraggono luoghi storici del paesaggio urbano.
Il dolore, la morte, la sublimazione è il titolo della terza sezione che introduce ai grandi interrogativi universali. Densa di suggestioni simboliche, l’opera In piedi sul cielo di Bruno Ceccobelli (1998) è una struttura cruciforme composta da quattro pannelli rettangolari di legno su cui sono riprodotti un pesce, un uccello e una figura umana al centro. Ancora alla devozione cristiana è ispirato il ritratto Anagramma di Maria di Andrea Fogli (1994), quattro stampe fotografiche su sfondo nero dove l’iconografia della Madonna, presentata sotto diverse angolazioni, produce un effetto evanescente e onirico. Dalla simbologia cristiana all’ideale perfezione della cultura classica, l’armonioso volto Trascendente di Carlo Maria Mariani (2010), attraversato da una pioggia di fiammelle, esprime tutta l’eleganza figurativa che ha scandito il lungo percorso artistico e spirituale dell’autore. Di tutt’altro stile la scultura bronzea Waiting for Godot di Marc Quinn (2006), scheletro umano realistico e a grandezza naturale ritratto in ginocchio e con le mani giunte in preghiera. Un linguaggio tetro e ironico, una vanitas moderna nel contrasto tra energia vitale e decadimento, che esibisce la condizione di eterna attesa e speranza in cui si trova l’umanità.
Esposte anche le “figure del male”, reali o metafisiche: dal Diavolo di Lionello Giorni Savioli (seconda metà del XX secolo) e la sua compagna, La morte, di Carlo Fontana (1950-56), che rappresentano due arcani maggiori dei tarocchi, alla Diavoleria di Ferruccio Ferrazzi (1947-48), visione notturna e apocalittica resa con prospettiva deformante, entro la quale è possibile riconoscere l’ospedale romano di San Giacomo dove l’artista fu ricoverato. L’esperienza umana e universale della sofferenza e dell’angoscia è esemplificata nella Maschera del dolore (Autoritratto) di Adolf Wildt (1906), manifesto scultoreo del percorso dell’artista in un momento di profonda crisi personale e creativa.
La sezione si conclude con un messaggio di salvezza affidato a due opere che attingono all’iconografia cristiana: la Deposizione, bassorilievo in bronzo di Pericle Fazzini (1946), e la Resurrezione del maestro dell’aeropittura Tato (1955/60). Del resto, sarà proprio in seno al Futurismo che maturerà la riflessione moderna sul rinnovamento stilistico dell’arte religiosa, esemplificata dal “Manifesto futurista dell’Arte Sacra” del 1931.
La quarta sezione, Astrazione e rappresentazione del divino, accoglie i visitatori in un’atmosfera fortemente evocativa di stati d’animo e mondi spirituali in cui i principi religiosi si traducono in riflessioni più propriamente filosofiche. Vi si incontrano figure mistiche quali L’Angelo di Corrado Cagli (1958), materia “assoluta”, incorporea e duttile che si offre alla manipolazione dell’artista, e il San Sebastiano nero di Leoncillo (1963), il cui taglio centrale trafigge l’argilla e richiama, anche cromaticamente, le ferite del santo martirizzato. Una riflessione sul tema del passaggio e sui tempi meditativi di percezione è suggerita dalla Soglia di Claudio Verna (1996), spazio pittorico bidimensionale e disomogeneo nei toni del rosa e dell’arancio. La Chiave di volta di Fiorella Rizzo (1996-97), selezione ragionata di sette pannelli dei dodici di cui si compone il progetto installativo originario, è un richiamo al significato simbolico e cabalistico del numero 7.
Dall’astrazione alla concretezza della materia, La cera di Roma #4 di Alessandro Piangiamore (2012) è un pannello solido e compatto di cera fusa delle candele raccolte nelle chiese romane, autentico omaggio alla sacralità della città eterna.
Uno speciale approfondimento è dedicato a Sidival Fila, la cui produzione artistica si distingue per il recupero e il riscatto di materiali obsoleti e invita a una riflessione critica sul tema del consumo, dello spreco e della sostenibilità. Esposta l’opera Stendardo antico (2021): uno stendardo araldico di fine Settecento decostruito, ritagliato e ricucito insieme a frammenti specchiati che rivela la tensione dell’uomo verso la natura divina attraverso l’esaltazione della propria storia famigliare.
Chiude il percorso di mostra la sezione Ritualità e idoli contemporanei, con due opere di Benedetta Bonichi dove tornano i temi del sacro, della cerimonialità e della morte. L’installazione To see in the dark. Banchetto di nozze (2002) è la stampa di un’immagine ai raggi X che ritrae una coppia di sposi e gli invitati attorno a una tavola imbandita con stoviglie e frutta vera, dove la tangibilità degli oggetti contrasta con le forme scheletriche dei personaggi. Un invito, proposto in maniera del tutto inedita, a guardare oltre il sensibile. La figura dello scheletro, con la sua presenza conturbante, è posta anche sull’immagine di un dollaro nell’opera Oh my god! del 2023, in prestito dalla collezione personale dell’artista, un monito a non cadere nell’adorazione degli idoli terreni.
Information
dal 17 aprile 2025 al 14 settembre 2025
dal martedì al venerdì 10.00-16.00
il sabato e la domenica ore 10.00 - 19.00
ultimo ingresso mezz'ora prima della chiusura
Giorni di chiusura: lunedì e 1 maggio
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gratuito alla mostra e al museo
tel 060608 attivo tutti i giorni ore 9.00 - 19.00
Promotori: Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali
Organizzazione: Zètema Progetto Cultura